Conoscere le proprie dinamiche inconsce per essere protagonisti della propria vita
Abitare una vita o vivere la vita?
Questo è il dilemma! Ovviamente non è per tutti così, nondimeno le persone che si lamentano o si rassegnano agli eventi della vita, terminano le loro frasi con: “…è il destino!”. Spesso, queste esternazioni sono accompagnate da epiteti e/o sospiri, per cui niente si può fare se non abbandonarsi a ciò che avviene come una condanna senza appello.
Il destino nell’accezione più comune viene vissuto come un abito da indossare senza poterlo scegliere, un soggetto scritto da un “Dio burlone” che ha deciso per noi le nostre sorti.
Un Dio che ci invia sulla terra per farci vivere come marionette, legate indissolubilmente da un filo invisibile alle dita della sua mano divina, per farci danzare sulle note di una musica da lui composta.
Tuttavia, questa può essere solo che la visione di un bambino, incapace di ritenersi responsabile delle proprie azioni, incolpando la musica che viene suonata nel momento in cui inciampa nella sua danza. Ecco che da adulto, allo stesso modo, il nostro bambino interiore incolpa un destino avverso che lo intralcia e gli impedisce di arrivare ai suoi obiettivi.
Anche nelle culture arcaiche, il fato prendeva le forme di un potere misterioso e incontrastato che per lo più andava a indurre un senso di colpa confermato dalla punizione ricevuta, cosicché la persona poteva sentirsi sfortunata o immeritevole.
Questo destino infame a cui nonostante tutto cerchiamo di sfuggire, ci insegue e persegue come cita Vecchioni nella sua canzone “Samarcanda” ripresa da “Appuntamento a Samarra” di John O’ Hara. Nella canzone e nel testo di O’Hara si parla dell’incontro con la morte, l’inevitabile appuntamento di ogni essere vivente. Tuttavia nel racconto, il protagonista che intravvede l’agguato, in preda alla paura tenta di sfuggirgli mettendo in atto soluzioni che invece lo porteranno direttamente nelle braccia della temuta morte. Destino?
Destino e Fisica quantistica
Alla luce delle nuove scoperte, la fisica quantistica potrebbe dare l’avvio a nuovi modelli di interpretazione dei fenomeni come quello sopracitato. Per la fisica quantistica ciò che determina la possibilità del comportamento di un fotone (particella priva di massa detta anche ‘quanto’ di energia), ovvero se si comporta come particella o come funzione di onda, è esattamente determinato dall’osservatore.
Pertanto, se l’osservatore si “aspetta” di vedere apparire la funzione di onda, ecco che questa si manifesta e assolutamente allo stesso modo se si “aspetta” di vederla come particella, è in questo modo che si palesa. Quindi è l’osservatore stesso che determina il risultato.
E se parimenti fosse quello che accade all’essere umano? Se fosse proprio il suo modo di osservare la realtà, a determinare ciò che gli capita? Allora ci potremmo chiedere: come mai se vogliamo vincere a lotto e giochiamo sempre la schedina non riusciamo mai ad ottenere il risultato desiderato? Ecco, questa domanda con la conseguente risposta di delusione, potrebbe in qualche modo fuorviarci dalla sopracitata tesi quantistica.
Tuttavia, al lettore più attento, può saltare agli occhi questa riflessione: ma chi è l’osservatore? La persona che giocando anela alla vincita? Dai risultati deludenti sembrerebbe proprio che non sia così. Colui che ambisce alla vincita non è altro che la somma di una serie di informazioni e modelli che chiamiamo personalità o più comunemente ego.
Personalità e osservatore
L’ego non è l’osservatore favorevole. L’aspetto egoico della personalità si può definire come una complessità di meccanismi di difesa e non, che hanno creato nel tempo modelli funzionali alla propria sopravvivenza sia fisica che emotiva. Nondimeno questi schemi locati nel nostro archivio personale, per mezzo delle emozioni che si cristallizzano nel ‘database’ del sistema limbico, spesso contengono anche informazioni dell’intero sistema famiglia, introiettati sin dalla nascita, ma di cui spesso ignoriamo l’origine.
Le emozioni non avendo esaurito la loro missione di far transitare l’esperienza fluidamente, si riattivano ogni volta che si ripresenta uno stimolo in risonanza con quello della prima esperienza interpretata come disfunzionale. Ad esempio: un bambino al quale viene impartita un’educazione punitiva corporale dove gli si ripete che è un cattivo bambino, può trarne un’interpretazione di non essere degno, credendo infine che il genitore che lo ama abbia ragione. Si crea perciò una convinzione limitante per cui da adulto non si concederà mai un premio che lo gratifichi.
Tutto questo, rimane come condizionamento nella vita di tutti i giorni, diventa la nostra strada di minor resistenza, ciò che gli orientali definiscono sonno. Il sonno, è l’agire quotidiano inconsapevole, è quando crediamo di agire liberamente e invece non ci rendiamo conto di ricalcare lo stesso modello.
Quindi per ritornare alla domanda precedente sull’osservatore, come può un essere condizionato da credenze limitanti e filtri svalutanti osservare la realtà determinando la propria vincita al lotto? Non è possibile, perché se una persona ha una credenza sua o ereditata dal suo sistema familiare, come ad esempio, quella di non sentirsi meritevole o di non aver valore, osserverà inconsciamente la funzione della vincita con quella parte di sé e ogni volta che guarderà la schedina perdente magari sospirerà dicendo: “è proprio destino che io non vinca mai!!!”
Ebbene, se quella stessa persona rendesse conscio, l’inconscio, come cita Jung:
“Rendi cosciente il tuo inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e lo chiamerai destino”
Carl Gustav Jung
ecco che le possibilità di prendere in mano le redini del proprio destino, potrebbero condurlo in uno stato di coerenza mente – anima, e co-creare la realtà da lui voluta.
Per concludere, il destino inteso come evento inaspettato e predeterminato da altro da noi, può essere credibile unicamente nel momento in cui osserviamo certe azioni e comportamenti solo come effetto, senza andare ad indagare la causa che l’ha generata, depositata nella profondità dell’inconscio.
Rendere consapevole quest’ultimo, serve a completare quel percorso interrotto e portarlo ad un livello di vera e intima comprensione, manifestando sentimenti di accoglienza verso sé e per coloro i quali abbiamo provato emozioni negative ritenendo di aver subito un torto.
Così facendo possiamo integrare parti di noi mancanti, avvicinandoci sempre di più a quegli stati di coscienza e consapevolezza atti a realizzare la nostra missione di vita, il nostro piano di volo, prendendoci la responsabilità delle nostre azioni per scegliere consapevolmente l’abito più adatto al nostro viaggio su questa terra: l’anima.
Brunella Pardini
P.S. Da non confondere destino e sincronicità che sarà l’argomento della prossima volta.