Il senso di colpa fa parte delle emozioni secondarie, cioè strutturate in età più avanzata dello sviluppo filogenetico (dopo i 18 mesi) ed è il risultato di combinazioni di emozioni primarie. Ho incontrato spesso questo stato d’animo, provo a rifletterci sopra, raccogliendo ciò che mi passa dentro attraverso il percorso fatto e la mia curiosità.
Intanto che differenza c’è fra uno stato d’animo e un’emozione? Le emozioni sono modalità brusche e immediate alle quali il nostro organismo risponde quando ha uno stimolo inaspettato, mentre gli stati d’animo sono tratti emotivi ricorrenti frutto del nostro temperamento e delle nostre caratteristiche di personalità.
Secondo Sigmund Freud ( 1856-1939), neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco, fondatore della psicoanalisi, il senso di colpa nasce per la prima volta nella fascia di età dello sviluppo del bambino che va dai 3 ai 6 anni, fase fallica, in questo stadio si sviluppano i complessi di Edipo (per un bambino) o di Elettra( per una bambina): il bambino si rende conto dei suoi organi sessuali e delle diversità tra maschio e femmina, comincia a provare un’attrazione del tutto naturale verso il genitore del sesso opposto e un forte antagonismo col genitore dello stesso sesso (Edipo nutre un forte astio per il padre ed Elettra per la madre…).
In questo momento si forma l’istanza del Super-io, il nostro giudice interiore, che ha lo scopo di controllare le pulsioni del piacere (Es), in modo che l’azione della persona (Io) sia la risultante fra queste due pulsioni. Quindi per Freud il senso di colpa presenta un ritorno inconscio all’infanzia, alla paura di perdere l’amore dei nostri genitori o di essere puniti se non ci si comporta secondo le aspettative.
Secondo Heiddeger (1889-1976), filosofo tedesco, la colpa è parte integrante della nostra vita dato che ogni giorno ci troviamo a compiere delle scelte da cui derivano delle responsabilità, che la nostra natura umana fatica a gestire. Per Mowrer (1907-1982), psicologo americano, fondamentale è il contesto sociale dell’individuo: il senso di colpa nasce quando vengono compiuti atti categorizzati come “vietati” nelle esperienze precedenti. Secondo Wechsler (1896-1981), psicologo rumeno e Harlan (1936-2019) psicologo americano, il senso di colpa origina nel momento in cui si genera squilibrio tra il proprio benessere e la sofferenza altrui. Questo stato d’animo segue diverse tappe, secondo la psicologa Carolyn Zahn-Waxler, Center of Healty Minds, Università di Wisconsin-Madison, che accompagnano la nostra crescita fin da quando siamo molto piccoli: tra gli 8-9 mesi i bimbi cominciano a percepire disagio se una loro azione fa piangere qualcuno, tra i 18-24 mesi cominciano ad aumentare i gesti riparatori, questo coincide con la capacità di riconoscersi allo specchio a conferma dell’ipotesi che il senso di colpa si basi sulla capacità di riflettere sulle proprie azioni. Nel periodo prescolastico, tra i 4-5 anni, i piccoli diventano consapevoli dei meccanismi di reciprocità sociale e possono sentirsi in colpa se un’azione sperata non viene contraccambiata. Mentre il senso di disagio causato da una mancanza tangibile (non aver fatto i compiti, per es.) si comincia a sperimentare fra i 6 e gli 8 anni. La violazione di una norma morale (mancare una promessa ad un amico, per es.) inizia a generare colpevolezza tra i 10 e i 12 anni,
Insieme alle teorie di come nasce il senso di colpa, è giusto tener conto che tutto cambia da persona a persona in base alle variabili che si possono presentare legate al fatto che ogni bimbo nasce e cresce in un ambiente dal quale impara ed apprende chi è in base alle relazioni stabilite con chi gli è vicino: i genitori, la famiglia, gli amici, la scuola, la società, la religione…Si può dire che il senso di colpa è una voce importante del dialogo fra noi e il nostro Giudice Interiore, almeno per gran parte della nostra vita.
A cosa serve, dunque, il senso di colpa, dato che è uno stato d’animo che è rimasto nell’evoluzione dell’uomo? Poco sopra abbiamo citato la sua utilità per riflettere sulle nostre azioni. Il senso di colpa conscio è finalizzato a farci soppesare il nostro agire e a porre rimedio alle conseguenze dannose dei nostri atti, prendendo come metro di misura il nostro vissuto fatto di credenze, regole acquisite, esperienze; indica la presenza di un dibattito interiore su cui vale la pena riflettere e ci aiuta a mantenere le relazioni con gli altri. Avete mai letto “Arancia Meccanica” di A. Burgess? E’ un romanzo fantapolitico del 1962, riadattato per il grande schermo da S. Kubrick nel 1971. Il protagonista è un ragazzo quindicenne che è in cerca di emozioni forti e quotidianamente coi suoi amici compie azioni criminali, fino a finire in prigione, dalla quale ci esce solo dopo essere stato riprogrammato…Sicuramente, il protagonista del racconto non era in contatto col suo senso di colpa!
Quando è disfunzionale il senso di colpa?
Se il senso di colpa è inconscio, o eccessivo, irrazionale, fantastico, diventa pericoloso perché va ad inficiare la nostra autostima, accresce l’auto-rammarico (fino ad arrivare alla depressione), ci rende fermi nel flusso della vita e nelle nostre azioni per paura di nuocere agli altri, ci spinge ad auto-punirci, a non esprimere ciò che si vuole e si pensa per timore di non essere accettati, ci rende giudicanti ed auto-giudicanti creando difficoltà nel rapporto con l’altro e con noi stessi, limita la nostra mappa interiore, può farci divenire autolesionisti, autodistruttivi, ripetitivi (nei casi più gravi si arriva all’ossessività), va in coppia con comportamenti manipolatori, all’uso frequente di una comunicazione non assertiva, che crea rapporti non veri, nei quali si finisce per sentirsi soli e non compresi, vittime. Non dimentichiamo che il corpo è legato alla mente ed è stato verificato che il senso di colpa è strettamente legato a tutte le malattie autoimmuni ed alcune forme tumorali.
Dietro alla continua colpevolizzazione di sé, spesso si nasconde anche una forma di onnipotenza, come se l’intera responsabilità di certe situazioni dipendesse dal proprio comportamento, quando oggettivamente non può essere così: le nostre azioni, per quanto importanti, possono incidere solo in parte sullo stato di felicità di un altro individuo.
Secondo Marshall B. Rosenberg (1934-2015), psicologo statunitense, ideatore della Comunicazione Non-violenta, la nostra comunicazione è colma di modalità che si basano su il senso di colpa, cominciando dal linguaggio familiare (“quello che tu hai fatto, fa piangere la mamma”), scolastico, basato sul voto come riconoscimento principale, il linguaggio religioso, dove il bene, il male e il peccato assumono sensi univoci e condizionati… Dunque, apprendiamo un linguaggio “ostile” e non empatico, chiuso e non aperto, un linguaggio egoico, un linguaggio dove si usa il senso di colpa per cercare di motivare a fare le cose invece di lasciare l’altro libero e responsabile di scegliere. Adoperiamo questa scorciatoia a casa, a scuola, al lavoro, in coppia, portando avanti modi di dire usati, senza nemmeno rendercene conto. Marshall aggiunge: “Se vogliamo utilizzare il senso di colpa per manipolare gli altri, dobbiamo innanzitutto far loro credere che lo stimolo sia la causa dei sentimenti. In altre parole, se vogliamo far sentire in colpa qualcuno, abbiamo bisogno di comunicare in un modo che indica che il nostro dolore è causato dal suo comportamento; gli facciamo credere che il suo comportamento non è semplicemente lo stimolo dei nostri sentimenti, ma ne è la causa”.
E’ utile fare molta attenzione e renderci responsabili di ciò che proviamo in ogni circostanza, metterci in ascolto di noi, perché l’altro può inviarci un input con la sua azione (stimolo), ma il sentimento che ci reca è alla basa di un nostro bisogno non soddisfatto. Allora prima, meglio, o anche dopo, una nostra reazione, proviamo a chiederci quale sentimento abbiamo dentro, come si manifesta fisicamente e quale bisogno abbiamo non soddisfatto che lo genera, in questo modo entriamo in contatto con noi. Successivamente possiamo formulare una richiesta concreta e positiva all’altro, cercando un contatto empatico e assertivo.
In una lezione esperienziale, una mia insegnante ci parlò della differenza di “essere in causa” o “essere in effetto”. Essere in causa si intende essere presente e consapevoli di una determinata situazione, assumersi la responsabilità di scegliere e di agire; essere in effetto si intende lasciare che gli eventi circostanti alla situazione si muovano e noi diveniamo barche senza timoniere nei flutti dei fatti. Quando si agisce come se la nostra esperienza fosse creata dall’esterno ci sentiamo vittime, nel momento in cui ci assumiamo la responsabilità di aver creato la nostra esperienza partendo da dentro di noi, rivendichiamo il ruolo di creatori della nostra vita. Ogni volta che ci sentiamo persi, domandiamoci “ Cosa posso fare io adesso?”, per ritornare al timone della nostra nave ed ogni volta che saremo timonieri non saremo mai nel senso di colpa, saremo responsabili, consapevoli della scelta e pronti al cambiamento.
Proviamo a conoscere ed a guardare il nostro senso di colpa da altri punti di vista.
- Esercizio 1– Un modo per poter vedere la situazione dei fatti più oggettivamente e valutare l’entità del nostro senso di colpa è provare ad immaginare una sedia vicino a noi, sulla quale è seduto un nostro amico/a. Lasciamo che lui/lei ci racconti le cose che sono avvenute, per le quali si rimprovera, come se fossero accadute a lui/lei e noi ascoltiamo. Cosa provate? Da 1 a 10, quanto era il valore del vostro senso di colpa iniziale e quanto è adesso?
- Esercizio 2– Ricordate un momento nel quale vi siete sentiti in colpa, prendetevi qualche minuto per ricostruirlo nella vostra mente, cercando particolari ed emozioni. Quando siete pronti, trasformate il senso di colpa provato con una metafora, soffermatevi a mettere particolari, odori, colori, sensazioni, fino a renderla in movimento, come se fosse un pezzo di un film. Successivamente provate a pensare cosa cambiereste in quel film per poter stare meglio e cominciate a farlo. Datevi il tempo di vedere bene i particolari aggiunti e come è cambiato il vostro “spezzone di film”. Adesso chiedetevi come potreste portare quei cambiamenti nella vostra vita reale. Infine sentite come state e se il vostro stato d’animo è mutato. ( Esempio: una discussione con mia madre mi fa sentire in colpa. Trasformo quello stato d’animo in una metafora: il mio senso di colpa è un temporale che crea nuvole grigie e nere tuonanti nel cielo, piove forte. Mi soffermo su cosa provo e sui particolari della scena immaginata: se io ci sono, dove sono, come sono vestita, cosa c’è intorno a me, che colori vedo, che odori sento…trasformo la scena in modo da farmi stare meglio: la pioggia diviene del colore dell’arcobaleno, le gocce colorano ogni cosa su cui cadono…Rifletto su cosa questo mi suggerisce di portare nella mia vita…forse colore, leggerezza… ).
AURORA MARTINI
Counselor e Naturopata