La spinta nella direzione dell’uno: l’integrazione anima-corpo
In un mondo mordi e fuggi, il prendersi del tempo è stato esiliato dai propri modelli di vita. Ci siamo adattati al ritmo evolutivo che la ‘civiltà’ contemporanea ci ha imposto. Poco alla volta siamo stati addestrati, a suon di carota e bastone, a questa caotica frenesia, dove non rimane più lo spazio per percepire il corpo che ci parla, specialmente quando non è d’accordo con la nostra mente “fuorviante”.
Il successo, l’apparire e il possedere sono ormai i simboli dello status quo: abbiamo imparato a dare lo scettro alla mente, che da buona padrona di casa ripete – nella sua comfort zone-, schemi già adottati e precostituiti al fine di arrivare all’agognato obiettivo.
Ed è così che, le emozioni: la risposta biochimica ad uno stimolo esterno o interno, ci indicano ciò che è favorevole o meno alla nostra sopravvivenza diventando il campanello di allarme, il misurometro del nostro stato di benessere.
Tuttavia alla stregua di una tumulazione, quando ne avvertiamo la minaccia, vengono confinate in una buia e angusta cantina: l’inconscio. Parimenti a una salma che per processi di decomposizione ritorna polvere, il non contattare e comprendere le emozioni, ci conduce a pensare di poterle nascondere eternamente affinché si possano disperdere nell’etere per non soffrire più. Questo è quello che facciamo nella vita di tutti i giorni ignorandole, fino ad attivare rimozioni di default per evitare di rivivere quelle sensazioni dolorose che ci fanno stare male.
Nondimeno nel riprendere la metafora dell’occultamento del cadavere, dobbiamo considerare che sebbene seppelliamo i nostri cari pensando che non ci siano più, in realtà basta una foto, un profumo, un ricordo, che l’emozione della perdita, della tristezza riemerge come se fosse stata sempre lì, a farci compagnia; senza spazio e senza tempo si riattivano dolore e mancanza, in quel preciso momento che diventa l’attimo presente.
L’origine delle emozioni
Le emozioni possono essere vissute come istanze scomode e invasive, tuttavia sono un ponte tra la nostra essenza divina, l’anima, e ciò che è stato forgiato nella materia, la personalità. Sono i mattoncini con i quali costruiamo i modelli della nostra personale realtà.
La mente non è l’essere pensante o creativo che credevamo ma lo strumento con cui portiamo alla consapevolezza la coscienza, quando entriamo a contatto con quella fonte non identificata che ogni cosa pervade. Sin da epoche remote, da Galeno a Cartesio, per nominare i più noti, si sono sempre ricercate le istruzioni di uso della macchina umana dentro a essa. Attraverso l’anatomia e la speculazione filosofica come “Cogito ergo sum” (penso dunque sono), i ricercatori esaminavano il cervello come il solo autore dei nostri processi fisici e non, comprese le emozioni.
Oggi, alla luce di nuove scoperte, si aprono svariate ipotesi sulle origini delle emozioni, alcune confutate e altre da confutare. Le strumentazioni tecnologiche più avanzate e un approccio alla conoscenza più incline a una nuova apertura mentale, fanno sì che vengano esplorate possibilità finora eluse. Le ricerche, per decodificare l’origine delle emozioni, stanno vertendo sullo studio della membrana cellulare; Candace Pert, sostenitrice di questa visione, è una delle prime neuroscienziate che ha dimostrato l’esistenza dei recettori come porta di accesso agli stimoli esterni, localizzati appunto sulla membrana cellulare.
Questa nuova scoperta inverte ciò che si era pensato fino a oggi, ovvero, non è più solo il cervello (la mente) a generare l’emozione, piuttosto un dialogo tra lui e ogni singola cellula. Le cellule del nostro corpo appaiono così gli avamposti della coscienza che attraverso i leganti (i neurotrasmettitori, gli steroidi e i peptidi), inviano informazioni ricevute dall’ambiente circostante alla centralina del cervello limbico attraverso cascate ormonali, attivando così reazioni immediate come risposta all’esperienza vissuta.
Ecco dunque che il cervello diventa una banca dati, un sistema operativo di informazioni che arrivano da altrove e non il generatore stesso dell’emozione.
La cellula, un portale dall’invisibile al visibile
Nella teoria evoluzionistica, ciò che ci accade viene elaborato e trasformato in modelli più funzionali alla sopravvivenza fisica ed emotiva; ovvero, i medesimi stimoli sollecitano sempre le stesse emozioni generate dalla reazione del primo evento che ci ha incontrato. Infatti le emozioni tendono a ripetere sempre lo stesso schema.
Nell’embrione il primo senso che si forma è il tatto, ciò significa che il confine tra il proprio corpo e l’ambiente esterno diventa il principale filtro per attivare nuovi processi adattivi di trasformazione interna. La prima cellula primordiale non sarebbe mai sopravvissuta ed evoluta se fosse rimasta inerte nel ricevere informazioni dall’habitat in cui era immersa.
La parola emozione proviene dal latino e-movere, con il significato di portare fuori, muovere da e ci indica proprio come questo sia un processo meccanico, automatico, che porta a una reazione istintiva bypassando riflessioni di opportunità elaborate nella mente come prima istanza. Quando l’io, nell’interazione con gli altri o l’ambiente, si sintonizza per mezzo dei sensi con i recettori della membrana cellulare a frequenze specifiche, istantaneamente si attivano i postini (i neurotrasmettitori) che recapitano il messaggio nelle sedi opportune innescando attivazioni biologiche di tipo ormonale, in risposta al contenuto del messaggio interpretato.
I nostri sensi collaborano con le cellule per portare le informazioni dall’esterno all’interno,
le reazioni, ovvero le emozioni, aiutano a integrare e ampliare altri stati di coscienza, che è uno dei fini della nostra evoluzione per tornare all’uno. La coscienza, interconnessa con la nostra parte animica, si espande in modo tale da diventare tutt’uno con la materia.
In conclusione, le emozioni, sono il carburante che danno energia al motore della nostra macchina umana per avanzare nella vita; tuttavia avendo una natura “istintuale”, non sempre riusciamo a gestirle, piuttosto rimaniamo noi stessi vittime di un gioco di cui ancora non conosciamo bene tutte le regole. Conoscere sé stessi, destarsi dall’intorpidimento del condizionamento, ci può condurre a quella presenza del sé, che ci permette di diventare padroni in casa propria e saper sfruttare il loro potenziale creatore.
Nella loro struttura più funzionale, le emozioni, ci possono condurre all’apertura del cuore, dove per apertura del cuore si intende quanto l’anima riesce a farsi spazio nella personalità dell’individuo per manifestare compassione, amore e perdono, stati di coscienza poco inclini a intercettare vibrazioni composte da frequenze più basse e dense, quali paura e rabbia.
Brunella Pardini